Metromontagna Biellese

INTERVENTO A “AMBIENTE, IMPATTO UMANO E RIFIUTI”

Mongrando, 25 gennaio 2024

manca uno sguardo più lungo, rivolto alla dimensione intermedia della provincia italiana, composta da una pluralità di medi e piccoli centri che strutturano l’armatura urbana del paese


Medio metro pede montagna
di Arturo Lanzani,
in Metromontagna , Donzelli

A differenza di altre aree il Biellese non è solo e tanto agricolo, ha una storia industriale importante, addirittura è il più antico distretto industriale italiano: la Manchester d’Italia. E’ una storia che proviene proprio dalla sua caratteristica “metromontana”. E lo sapete bene a Mongrando, terra di telerie, quanto la tessitura sia legata ai corsi d’acqua, ai pascoli e alla conformazione del territorio.

Partiamo da questo concetto: la metromontagna. E’ una parola composta che serve per liberarci dell’idea che lo sviluppo e l’innovazione avvengano solo ed esclusivamente in città, che siano solo urbani, propri della metropoli.

“Metro – poli” ovvero, se guardiamo alla sua etimologia greca, è la madre della popolazione, quindi dove è maggiore il numero di abitanti.

“Montagna” è l’altra parte della parola che vi propongo come chiave per leggere il Biellese oggi. “Montagna” sembra una parola semplice, banale, scontata. La identifichiamo facilmente nel nostro immaginario, che poi è l’immaginario della città. “Montagna” è vette innevate, stazioni sciistiche e, ora più che mai, luogo di fruizione della natura da parte dei cittadini.

“Metro” e “montagna” insieme spostano il punto di vista, invertono lo sguardo, comprendono i luoghi spopolati che stanno in mezzo tra la città e le cime innevate.

Questa è la cosa che ci interessa oggi, qui a Mongrando, che fa parte del GAL, della Comunità Montana Valle Elvo, e al contempo di un sistema metromontano forse Biellese, forse Torinese se non addirittura Milanese.

Il punto di vista è quello del policentrismo, della “città arcipelago”, come la definisce Michelangelo Pistoletto; cioè di un territorio interconnesso, dove si trovano relazioni di reciprocità tra città, campagna, collina e montagna. Reciprocità vuol dire che il rapporto tra urbano e rurale deve essere uno scambio pari, abbandonando la convinzione vecchia e insostenibile della concentrazione nella metropoli, unico luogo dove è possibile trovare il lavoro e i servizi.

Questo dominio metropolitano non è il metodo per affrontare la “policrisi”, per attuare la transizione ecologica. E’ esattamente il modo per continuare a dissipare risorse per non riconoscere, alla montagna e alle zone intermedie, diritti sulle risorse naturali di cui lo spazio urbano ha bisogno: acqua, foreste, agricoltura, minerali.

Quello che sta avvenendo a Cavaglià e in Valledora da almeno 30 anni rappresenta il peggio del paradigma urbano centrico.

La quantità di rifiuti che sono stoccati in quest’area non è certo stata prodotta dagli abitanti delle zone di campagna.

Nel 2016 l’allora sindaco di Tronzano Andrea Chemello presentò una petizione a Bruxelles sui rischi ambientali creati dagli almeno 4 milioni di m3 di rifiuti stoccati tra Tronzano, Alice C, Santhià e Cavaglià.

A dicembre del 2018 ci fu una visita della missione UE composta dai parlamentari Beatriz Becerra, Peter Jahr, Ana Miranda, Alberto Cirio e Eleonora Evi.

Le conclusioni della missione sono pubbliche e al punto 13 dicono che si:

L’hanno fatto questo piano? Ovviamente no. Nessuna visione strategica, nessun ruolo di pianificazione del Pubblico, solo iniziativa privata.

Non solo il piano non è stato elaborato e quindi neanche attuato, ma addirittura si prospetta un aggravio di rischio ambientale grazie al progetto di inceneritore presentato e ripresentato da A2A.

Così il rapporto non è di scambio, è sempre la stessa direzione, quella dello sviluppo urbano a tutti i costi, quello del consumo di risorse e dello sfruttamento della natura.

La scelta sbagliata.

La scelta che vede il rapporto di dominio dell’uomo su tutto il creato e la scelta di derubare dai territori più deboli ciò che serve per far crescere a dismisura le metropoli.

La scelta che dà per scontato l’abbandono delle aree rurali, che diventano, da struttura caratterizzante la conformazione del Paese, a Non Luogo a cui depredare risorse.

Quali sono i furti che abbiamo subito e stiamo subendo nel nostro caso?

Nel nostro caso il primo furto, quello che è in atto nel basso Biellese, sta nell’estrazione dell’ottima ghiaia, quella che si trova in Valledora. E a cosa serve la ghiaia? A costruire, a urbanizzare, a perpetrare il consumo di suolo, che è la concausa di molti dei disastri che stanno succedendo nei diversi territori e nelle città. Si sono ridotte le zone umide, asfaltate le sponde dei fiumi, coperti i corsi d’acqua nelle zone urbane; nella sostanza poste le condizioni ideali per favorire i disastri ambientali.

Il secondo furto è quello commesso riempiendo i buchi rimasti dalle escavazioni scaricando li dentro i rifiuti urbani. Ci sottraggono così terreno agricolo.

Vogliamo parlare della discarica di amianto di Salussola? Ah, no, lì non si tratta di riempire una cava, ma di fare un buco di 15 metri di profondità, riempirlo e uscire dal livello terra di 18 metri. Dove? Naturalmente dove si coltiva il riso DOP di Baraggia.

Il terzo furto è quello dell’acqua. La zona è di ricarica della falda, una discarica già percola in falda, quella di Alice 2. Cosa vuol dire? Che ci stanno derubando di una risorsa come l’acqua e mettono a rischio la nostra salute.

Arriviamo al quarto furto ovvero quello che condanna il basso Biellese a essere la discarica del Nord Ovest, ospitando ogni tipo di impianto di trattamento rifiuti, e, speriamo di evitarlo, anche il tanto discusso cosiddetto “termovalorizzatore”.

Hanno ragione le signore del Valledora: è in corso una colonizzazione.

Il processo avvenuto in Valledora ha visto vari interessi privati, cavatori e aziende che gestiscono i rifiuti, portare in una zona rurale i problemi generati nelle aree urbane (i rifiuti) interrandoli in un’area che non solo sarebbe agricola (vi erano ampie distese di frutteti), ma ha delle caratteristiche ambientali importanti sia per quanto riguarda la gestione della risorsa acqua, che dell’agricoltura che, infine, della biodiversità.

A poca distanza dal sito dove vogliono costruire l’inceneritore abbiamo diverse aree tutelate.

Tra le questioni poste ad A2A dalla Commissione inquirente sul “Termovalorizzatore” di Cavaglià, partendo dalle nostre osservazioni sulla vicinanza dell’impianto al Sito di Interesse Comunitario del Lago di Bertignano e degli stagni di Roppolo, si precisa che:

Tra i siti della Rete Natura 2000 da considerare nell’analisi non vi è solo la ZSC IT 1130004

Lago di Bertignano e degli Stagni di Roppolo”, ma anche altri siti che potrebbero essere interessati dalle ricadute dei fumi in base alla direzione dei venti, alla modalità e alle distanze di propagazione entro cui possono essere percepiti gli effetti.

MATRICE “BIODIVERSITÀ”:

QUESTIONE n. 51 – Il proponente ha effettuato la caratterizzazione delle componenti

naturalistiche di un’area vasta di circa 4 km di raggio individuata come superficie di maggior ricaduta degli inquinanti emessi dall’opera in progetto.

Si fa presente, tuttavia, che in un’area di circa 10 km attorno all’impianto ricadono diverse aree protette appartenenti alla Rete europea Natura 2000:

l’area ZSC IT1130004 “Lago di Bertignano (Viverone) e stagno presso la strada per

Roppolo”;

l’area ZPS IT1120021 “Risaie vercellesi”;

l’area ZSC e ZPS IT1110020 “Lago di Viverone”;

l’area ZPS-ZSC IT1120005 “Garzaia di Carisio”.

Tra poco ci sarà la Giornata Mondiale per la tutela delle zone umide. Fino all’anno scorso non sapevo neanche che esistesse. Credo che anche voi non siate al corrente dell’importanza di queste risorse. Invece sono molto importanti sia per la conservazione della biodiversità che per l’assorbimento di CO2. Quindi conviene tutelarsi

Potreste dirmi: che cosa proponi dopo tutta questa filippica ambientale?

Beh, propongo visione strategica, se la direzione è veramente quella della transizione ecologica, unica possibilità rispetto all’estinzione non solo delle specie oggi a rischio ma di noi stessi, se la direzione è questa allora non è per nulla detto che lo spopolamento delle aree rurali, della metro montagna sia una legge immodificabile. E’ solo il furore ideologico che si è imposto dai tempi della Thatcher e di Reagan che ci porta a crederlo.

C’è una ricerca che vi invito a leggere. La trovate on line all’indirizzo miclimi.it

MICLIMI è un acronimo che significa «Migrazioni climatiche e mobilità interna nella metromontagna padana», approfondisce le strategie di adattamento che si sviluppano non all’interno di un dato territorio bensì muovendosi tra i territori (spesso limitrofi), lasciandone alcuni per insediarsi in altri. Parliamo di migrazione interna, esattamente di quella che ha iniziato ad esserci dalle città alle zone rurali. Al momento è poca roba, siamo intorno al 2%. Il che vuole dire solo per Milano 28.000 persone all’anno che si spostano i altri Comuni. Solo una parte di questi si muove verso la collina (20%) e montagna (7%), il resto degli ex milanesi rimane in pianura.

I torinesi hanno un flusso maggiore verso collina e montagna, rispettivamente il 34 e il 9 %, ma il caso di Torino è quello di una città molto più integrata nella collina e nella montagna. Le cause degli spostamenti sono legate all’innalzamento della temperatura media, agli eventi estremi, alle ondate di calore, alla siccità e alla concentrazione degli eventi piovosi che generano alluvioni e all’origine di tutto vi è l’inquinamento.

E’ una ricerca molto interessante, che dice oltretutto che il movimento maggiore di migranti climatici urbani al momento è avvenuto più verso la collina che verso la montagna.

E allora mi spingo a fare un’ipotesi: il successo dei Cammini -soprattutto per la nostra zona del Cammino di Oropa- e l’aumento del turismo nel Biellese – specie del turismo che scopre aree scarsamente antropizzate collinari e di mezza montagna ovvero turismo che non cerca il consumo di massa e del divertimento in alta quota – dico questo fenomeno non possiamo leggerlo come anticipazione di un ripopolamento che avverrà?

Non dobbiamo vederlo come un insediamento per forza stabile, in linea con il nomadismo digitale potrebbe essere temporaneo o parziale. Soprattutto, se così fosse, va governato fin da subito per evitare almeno due storture possibili:

  1. che riguardi solo quelli che possono permetterselo, ovvero che si salvino solo i ricchi.

Solo chi ha i soldi per comprarsi una proprietà e per ristrutturarla, al momento, è più propenso al trasferimento. Solo chi non è vincolato da un lavoro da svolgersi in una sede fisica è facilitato nello spostarsi di residenza o ad averne una temporanea.

  1. che i possibili flussi non siano sostenibili, che rompano degli equilibri ecosistemici. Sarebbe un paradosso essendo proprio la ragione del trasferimento. Questo è un discrimine importante anche nel valutare progetti attualmente agli onori della cronaca come quello dell’eco villaggio tra Cavaglià e Alice Castello.

Se la prospettiva è questa il primo punto che dobbiamo mettere nell’ordine delle priorità è salvaguardare i servizi. Non solo salvaguardarli ma aggiornarli, portare come elemento di innovazione la partecipazione dei cittadini, costruire comunità che creino servizi. Partiamo da quelli principali, scuola, salute e mobilità; ma non tralasciamo altri che possono essere altrettanto importanti.

Si tratta di uscire dal convincimento, tutto ideologico, del There Is No Alternative. L’alternativa c’è e sta a noi crearla.

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