Ci sono in Italia intere aree abbandonate, lasciate vuote a causa dell’emigrazione di un numero enorme di donne e uomini, partiti per andare nelle città, per migliorare le proprie condizioni di vita.
Un fenomeno lungo almeno un secolo e mezzo, se non di più, generato principalmente dall’industrializzazione che ha portato masse di contadini a diventare operai e cittadini.
Ma le città sono ancora i luoghi dello sviluppo e della emancipazione, così come hanno sperimentato i nostri nonni e i nostri padri?
E le zone di campagna, di collina e di montagna non rivestono, oggi, una nuova importanza alla luce dei cambiamenti climatici e della sempre più necessaria transizione ecologica?
I centri urbani nel mondo consumano più del 76% delle risorse naturali e sono responsabili di oltre il 70% delle emissioni globali di anidride carbonica. Bastano questi due dati per dirci che il modello che concentra la popolazione nelle città non funziona, o almeno non funziona più, e che tutte le zone marginali che credevamo fossero il passato, in realtà potrebbero essere il futuro.
Filippo Tantillo spiega nell’introduzione del suo libro Italia vuota che le aree interne sono riserve di fonti primarie come acqua e vento, ma lo sono anche di biodiversità, varietà di produzioni agricole e anche di peculiarità culturali. Tutte risorse importanti oggigiorno, la cui disponibilità può fare la differenza in termini di qualità della vita.
L’autore del libro con cui dialogheremo ha girato parecchie di queste realtà come ricercatore della Strategia Nazionale per le Aree Interne e in Italia Vuota racconta il suo viaggio attraverso le esperienze più significative. Sono esperienze che non vengono raccontate dai mass media, ma nella narrazione di Tantillo si scopre che sono luoghi e persone tutt’altro che immobili, così come rappresentiamo nel nostro immaginario la stra provincia Italiana.
I protagonisti delle storie sono “i traditi del benessere” che non subiscono inermi la post modernità e “esperimentano nuove economie”. Realtà di trasformazione che l’autore definisce e descrive una ad una in modo fluente e chiaro, attraversando lo stivale da Nord a Sud.
Lo sapevate ad esempio che a Ghirlaza, in Sardegna, c’è una Casa Museo con i giocattoli in legno realizzati da Antonio Gramsci?
O che in Valle Maira, nel cuneese, la Comunità montana gestisce due piccole centrale idroelettriche e così riduce le spese dei ricoveri degli anziani, degli uffici del Comune e delle strutture scolastiche?
O che sulla Montagna di Campli, tra Abruzzo e Marche, l’escursionismo è aumentato dell’83%, e adesso le Amministrazioni hanno iniziato a sostenere le associazioni che promuovono i percorsi a piedi?
Anche nel Biellese e nel Canavese stiamo facendo esperienze significative che riportano le aree interne a un nuovo protagonismo, a una possibile rinascita.
Il Cammino di Oropa ha una progressione impressionante di camminatori che lo frequentano, e le Amministrazioni della zona si stanno accorgendo delle potenzialità inespresse che abbiamo sul territorio.
Il cambiamento che il Cammino d’Oropa sta generando è importante ma, come dice Tantillo, “non si vive di solo turismo”. Anzi perché funzioni il turismo lento come volano di ripopolamento e nuova economia bisogna che ci siano anche i servizi alla popolazione residente, che i paesi siano vivi, che i boschi e i sentieri siano curati.
Abbiamo intrapreso un percorso di scoperta e valorizzazione di ciò che avevamo abbandonato, scegliendo, consapevolmente o no, di risolvere così alcune delle criticità dei nostri tempi.
Serve però non fermarsi ai primi risultati, arrivati soprattutto grazie alla crescita del turismo sostenibile. E’ necessario sostenere i servizi che ci sono, riportare quelli che non ci sono più, inventarne di nuovi, insomma avviare nuove iniziative pubbliche e private che siano coordinate e integrate.
E’ la creazione di una strategia, un lavoro politico complesso ma necessario. Serve tutta l’esperienza di persone come Tantillo per orientarci.
Il 13 ottobre saremo all’Arci di Biella, in via Fornace 8/b alle ore 17:30 a discuterne con l’autore e con Giuseppe Pidello, coordinatore dell’Ecomuseo della Valle Elvo e della Serra e animatore dell’esperienza della Trappa di Sordevolo.
Più tardi, alle 21:00, ci sposteremo allo ZAC! di Ivrea, presso il Movicentro in via Dora Baltea, dove ci aspetterà Nevio Perna di Legambiente, animatore a Chiaverano di molte iniziative per la cura dei boschi e la sicurezza idrogeologica.
Il 14 mattina alle 9:30 incontreremo i ragazzi che stanno facendo il servizio civile nella bassa Serra nel progetto Amici dell’Anfiteatro Morenico d’Ivrea all’Infopoint di Roppolo, in via Massa 23. Ci saranno anche i volontari che stanno gestendo quel servizio per i pellegrini della Via Francigena e del Cammino di Oropa e, tra loro, i giovani del paese che stanno tenendo aperto l’Infopoint il giovedì pomeriggio.
Non ci sono scusanti, chi è in zona ha tre possibilità per scoprire e conoscere le storie della ricerca di soluzioni alla policrisi, ovvero al sommarsi di più crisi: climatica, sociale, economica e politica.
Se il ritorno nelle aree interne sarà compiuto in modo consapevole allora non diventerà una chiusura, un nuovo Medioevo, bensì realizzerà un nuovo equilibrio in cui il prendersi cura di ciò che abbiamo dimenticato migliorerà le condizioni di vita di tutti.
Potrebbe essere un nuovo Rinascimento, stavolta non urbano ma diffuso sul territorio, che segnerà un rapporto di scambio e reciprocità tra città e campagna.