Quelli che #iostoconlozac

di Ettore Macchieraldo

scritto per Pressenza

Almeno 300 persone ieri all’assemblea allo ZAC! d’Ivrea per difendere un’esperienza di partecipazione e rigenerazione urbana. Mi correggo: non solo urbana, ma rigenerazione di un intero territorio.

E oggi alle 14 appuntamento in piazza di Città a Ivrea per dire alla giunta comunale di ripensarci, non si può disarticolare ciò che funziona, lo ZAC! non si tocca.

Tantissimi per una città che si sta spopolando, almeno 300 quelli che abbiamo contato a occhio, ma c’erano anche quelli fuori e anche quelli collegati con la diretta facebook. Sicuramente di più; forse 500, e 50 che, appunto, erano collegati con i social. Una parte di quelle persone che durante la giornata del 13 marzo hanno spedito le 1500 mail per dire al sindaco Sertoli e alla sua giunta, di ripensarci, che non si può privare una città, un territorio di una realtà come le Zone Attive di Cittadinanza, lo ZAC!

il 13 marzo 2023 l'atrio del Movicentro d'Ivrea alle ore 21

I fatti sono che la giunta del Comune d’Ivrea oggi voterà un indirizzo di bilancio per privare chi gestirà il Movicentro, l’area che è ora lo ZAC!, dell’atrio, di due stanze e della gestione del bar così come è adesso. Insomma un modo per tentare di disarticolare l’utopia concreta che ora è realtà. E riportarla al realismo triste che vuole l’amministrazione d’Ivrea, quello del mercato come unico regolatore dei rapporti. Ma siamo sicuri che la realtà che vogliamo sia questa triste rassegnazione del ritorno al Non luogo, come Arianna della Comunità di Sant’Egidio ha detto intervenendo ieri sera?

Già perché, prima che arrivassero i soci del Gruppo di Acquisto d’Ivrea, il Movicentro era una cattedrale nel deserto, una struttura realizzata e lasciata vuota. Lo ha detto anche l’ispiratore del bando precedente Enrico Petrinoni, quello che ha assegnato gli spazi otto anni fa, “lo ZAC! Non è stato il problema ma la soluzione del Movicentro”.

Molti gli interventi dei lavoratori della cooperativa sociale. Una realtà che dona speranza, che ha fatto impresa sociale, dando lavoro anche a quelli che la versione triste del realismo definisce come svantaggiati.

Roberto, commosso, ha raccontato del suo percorso che da primo ‘civilista’ , i ragazzi che fanno un anno di Servizio Civile, dello Zac! lo ha portato ad avere un lavoro e ad emanciparsi.

E poi Andrea, leggendo Rivoluzione di Danilo Dolci, ha spiegato come per tanti giovani eporediesi lo Zac! è la speranza di cambiamento, il motivo per ritornare a Ivrea, per investire il proprio futuro.

Sono intervenuti anche tanti cittadini come l’insegnate che ha definito lo Zac! la ‘nonna’ d’Ivrea, dove ti puoi fidare a lasciare i tuoi figli scorrazzare perché c’è un villaggio che li guarda, i figli e i ragazzi che dalla comunità hanno bisogno solo di attenzione leggera e coraggio per crescere.

Insomma tanti brevi interventi che definiscono una realtà che è nata da un’ utopia, ma che il realismo vorrebbe dismettere.

Già perché, per chi come me insegue la possibilità di tasformazione della realtà per renderla più giusta, lo Zac! dimostra che gli utopisti sono più realisti del Re.

Avevo ancora vent’anni quando a Milano prendemmo sulle spalle la rigenerazione di un luogo urbano, l’ex manicomio, il Paolo Pini. Ancora c’erano gli echi della esperienza che fu una rivoluzione all’interno e fuori dalle istituzioni totali: l’apertura dei manicomi a Gorizia, a Trieste e poi in tutta Italia. Forse una delle cose migliori degli anni ‘70. Fu possibile per il coraggio di donne e uomini che erano in prima fila come Franco Basaglia, ma fu anche possibile per il contesto di fermento sociale e politico, fino a ieri pensavo, irripetibile. Quando da Ivrea mi cercarono di coinvolgere agli esordi dello Zac! li avvertii: è difficile, si rischia, come successe a noi a Milano, di rimanere schiacciati tra la voglia di cambiamento e le necessità d’impresa. E’ una strada stretta, che è molto difficile nell’era del “non esiste nessuna società, esistono solo gli individui”.

Eppure ieri a Ivrea ho visto una città, anzi un territorio, che capisce e partecipa.

Forse è il segno che il tempo del primato dell’individuo sta terminando e che possiamo inventarci delle comunità, perché la libertà è terapeutica!

Ci vediamo alle 14 in piazza di città a Ivrea per fare la rivoluzione, maieutica e non violenta come ci ha insegnato Danilo Dolci.

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